Genesi e prospettive ITOP
La nascita di ITOP SPA. Come e quando ha deciso di dedicarsi al settore ortopedia e ausili?
Ho deciso di dedicarmi a questo settore all’età di 15 anni, quando accompagnai mio zio alle Officine Ortopediche dell’Università di Roma a sistemare una sua protesi. Lì sono rimasto colpito da due fattori in particolare: dal modo in cui questi semplici operai, dei meccanici, dei fabbri, costruivano questi tutori in modo artigianale per bambini e ragazzi con disabilità tenuti in braccio dai genitori. Ho capito che era un lavoro nobile. Bellissimo.
Anche se mio padre voleva che continuassi gli studi, riuscì a farmi assumere alle officine ortopediche per pulire gabinetti e spazzare carbone. Successivamente mi sono diplomato in Tecniche Ortopediche.
A soli 23 anni ho lasciato le officine ortopediche dell’università per intraprendere un’attività professionale indipendente.
Una data importante per me, il 13 febbraio del 1978: venne a mancare mio padre e in concomitanza di quei giorni, insieme alla mia fidanzata, che poi è diventata mia moglie, abbiamo aperto un laboratorio ortopedico di 40 metri quadrati. Alla fine degli anni Ottanta sono stato uno dei primi in Italia a costruire un’officina ortopedica di ben 2.400 metri quadrati con un’ausilioteca e spazi dedicati esclusivamente al mondo della disabilità. Oggi la sede della ITOP è uno spazio di 7.000 metri quadrati con aree accoglienti per seguire i pazienti. È composta da una sala congressi di 150 posti, un laboratorio di Gait Analysis, aree di ricerca, una palestra per l’addestramento all’uso delle protesi, un’officina open space luminosa dove collaboratori e tecnici possono applicare le loro capacità progettuali e costruttive. Un’ausilioteca di 1.000 metri quadrati con magazzini altrettanto grandi.
Qual è stato il valore aggiunto che ha permesso il successo dell’Azienda?
Il valore aggiunto è definito dalla passione, dall’amore che ognuno dedica al proprio lavoro. Io non mi stanco mai e, nonostante dopo 49 anni di attività e raggiunto l’età pensionistica, sono sempre impegnato ogni giorno nell’attività professionale di ITOP e nelle attività sociali che ci coinvolgono. Queste ultime hanno sempre avuto moltissima importanza nella mia attività professionale perché ritengo sia giusto e doveroso oltre alla professione, essere a disposizione di chi ne ha bisogno.
Il successo della Itop è stata l’intuizione di inserire figure diverse ed essere sede di continua formazione. Sono sempre stato molto attento a capire i miei limiti, le mie competenze, la mia poca cultura nell’affrontare tanti argomenti. Per questo ho inserito all’interno di un’officina ortopedica figure come Dottori in Ingegneria meccanica o biomedica, che mi hanno portato un arricchimento di conoscenze, mi hanno aiutato a superare i momenti difficili e conoscere discipline come la biomeccanica, la fisica, la tecnologia dei materiali. La ITOP è da 20 anni sede universitaria convenzionata con l’Università di Roma Tor Vergata per i corsi di laurea dei futuri tecnici ortopedici, ma anche per la formazione sui dispositivi ortopedici degli specializzandi in fisiatria. Ogni anno i migliori studenti di questi corsi di laurea entrano a far parte del nostro organico portando il loro contributo nella crescita del settore. Investire sulla formazione e soprattutto impegnarsi per trasferire la passione per un mestiere, andando oltre il lavoro meccanico, garantisce dei risultati inimmaginabili perché questi ragazzi, così motivati, riescono sempre a dare qualcosa in più. Questo continuo impegno non è semplice ma da un valore aggiunto notevole.
Io ho avuto la fortuna di incontrare tantissimi medici che hanno contribuito all’arricchimento formativo e professionale e hanno trasformato la mia passione in amore per l’attività che svolgo e per questo sarò loro sempre riconoscente.
Il suo incontro con il mondo neuromuscolare
La ITOP ha sempre perseguito l’ottica della specializzazione. Pensavamo di conoscere le soluzioni tecniche del neuromuscolare, ma è stato solo circa 15 anni fa, grazie all’incontro con il Prof. Mercuri del Centro Clinico NeMO di Roma, che ci ha indirizzato in Inghilterra in un centro specializzato, che abbiamo avuto modo di approfondire in maniera determinante le competenze che avevamo. Anche nel settore del neuromuscolare, dopo l’esperienza consolidata nella riabilitazione neurologica, abbiamo raggiunto risultati molto positivi.
Abbiamo investito nella ricerca, e oggi realizziamo ortesi in fibra di carbonio a restituzione di energia dal peso di soli 300 grammi, che consentono il risparmio energetico, fattore molto importante per un paziente neuromuscolare, soprattutto in virtù delle recenti terapie farmacologiche. Progettiamo sistemi di postura personalizzati applicando tecnologie innovative che ci consentono di studiare la postura del paziente prima ancora di costruire il dispositivo e vedere i risultati che il dispositivo ci darà. Sono stati investimenti importanti per un’azienda privata e oggi ci stanno dando risultati importanti dal punto di vista dell’applicazione.
Come vede il futuro di questo settore?
Questa professione è in un momento drammatico a causa di politiche non lungimiranti che non vedono l’importanza che ha l’assistenza protesica nel percorso riabilitativo del paziente. Si guarda più al costo dell’oggetto, rispetto ai benefici che quel dispositivo può dare nel tempo. Oggi gli strumenti per far si che questo accada ci sono ma non vengono valorizzati dal sistema sanitario nazionale.
Tale tendenza va in direzione contraria rispetto alla cultura e ai progressi di scienza e tecnologia in tema di ausili per persone con disabilità.
Negli anni ’70 i dispositivi erano pesantissimi e si guardava solo alla funzione meccanica, erano in ferro e cuoio. Oggi le tecnologie e i nuovi materiali hanno portato ad una valorizzazione della capacità residua dell’autonomia del paziente e anche dell’estetica. Sono oggetti più accettabili, sono colorati per i bambini e personalizzati. Per la mia esperienza quotidiana a contatto con persone con disabilità è come se il problema sia superato: non si tenta più di nascondere la protesi o l’ausilio ma esso viene mostrato. Si veda per esempio la concorrente di quest’anno a Miss Italia, che porta la sua protesi a vista. Una volta veniva fatta la cosmesi uguale all’altra gamba oggi no, le protesi si vogliono far vedere. Credo e spero che, se supportato dalle Istituzioni, il futuro sarà, anche nei territori più disagiati, di totale apertura culturale e di continua innovazione tecnica e tecnologica.